In ogni comunità, che ci si trovi in un piccolo paese o in una grande città, ci sono dei tormentoni periodici: all'improvviso tutti non fanno altro che pensare e parlare della stessa cosa. Questi, da me, sono i giorni della mensa scolastica. Panino sì, panino no, e il menù non va bene, e io preferivo il monouso, e le intolleranze?, e merendine con l'olio di palma, e l'orto scolastico, e mio figlio questo non lo mangia, eccetera, eccetera. Tutto diventa terreno di scontro per mamme agguerrite. Non ricordo in quale articolo, un po' di tempo fa, lessi che "perfino Gesù Cristo, le cose più importanti le ha fatte mangiando". Non è strano, quindi, che si ponga tutta questa attenzione e che si spendano tante energie per un momento fondamentale della vita dei bambini. A volte però, mi viene da pensare che ci si spenda troppo per le cose meno importanti. Mangiare è un momento altamente educativo per i bambini: non solo per trasferire loro una corretta educazione alimentare (che pure manca), ma perché assaggiare cibi sempre diversi, sempre vari e a volte perfino "strani", aiuta a superare i pregiudizi e a mantenere una buona apertura mentale anche su tutto il resto. È comprensibile che, talvolta, prese dalla disperazione, alcune mamme, piuttosto che veder digiunare il proprio pargolo, preferiscano preparargli quelle quattro, cinque cose che sanno per certo essergli gradite. Ma ogni volta che diamo per scontato che un bambino non potrà sopportare il retrogusto amarognolo del friariello, o il pizzicorio dello zenzero, o la consistenza croccante della carota cruda, gli stiamo praticamente dicendo che non deve sforzarsi a superare le sue barriere mentali, che solo rimanendo chiuso nell'angusto spazio di ciò che è conosciuto, potrà tenere a bada le sue paure. Certo, l'apertura mentale non è solo lo specchio delle nostre abitudini alimentari, e non è grave se di tanto in tanto ci arrendiamo alla sicurezza e al conforto di un trancio di pizza, ma sicuramente il cibo fa la sua parte, ed è giusto sfruttare il rito del pasto per orientare ed educare le acerbe personalità dei nostri pargoli. Quando questo non avviene da piccoli, non è mai troppo tardi per cominciare. A volte basta organizzare cene tra amici completamente diversi tra loro, cercando di trovare una quadra tra i limiti e le aperture gastronomiche di ciascuno, e facendo in modo che ognuno contamini l'altro. "Pensa", disse lei, "fino a quattro anni fa, il cavolfiore mi nauseava, ma proprio che mi veniva da vomitare. Ora invece ne mangerei a quintali. Perciò ti dico: sii audace." "Vedremo" risposte lui. "Questo futuro semplice mi sembra già un buon inizio" sorrise lei, felice. "La buona compagnia farà il resto" la salutò lui. Fu quello in momento esatto in cui ebbe la conferma che i suoi sospetti erano fondati: mangiare insieme non solo può aiutarci a migliorare la nostra alimentazione, ci migliora proprio la vita. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Pulite e lavate il cavolfiore. Cuocetelo al vapore per circa 8 - 10 minuti. Sbucciate le patate e tagliate in pezzi non troppo piccoli. Cuocetele al vapore fino a che non diventano morbide. Mentre il cavolfiore e le patate si raffreddano, snocciolate le olive. Tritate insieme le olive, l'aglio, il prezzemolo o l'origano, e i capperi. Schiacciate le patate e i cavolfiori con una forchetta e unite il trito. Mischiate tutto insieme con le mani, continuando a schiacciare. Aggiustate di sale e di pepe o, se preferite, di peperoncino. Aggiustate il composto in una teglia da forno oleata e spolverata con il pangrattato. Se l'impasto dovesse risultare troppo molle, aggiungete un poco di pangrattato anche al suo interno. Spolverate la parte superiore con il pangrattato e, se volete, anche con semi di sesamo. Irrorate con un poco di olio e fate cuocere in forno caldo a 200° per 30 minuti circa. Ho fatto le foto quando lo sformato era ancora molto caldo e, quindi, si è completamente sfatto; se lo lasciate riposare un poco, riuscirete ad ottenere delle fette piuttosto compatte.
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Sì, lo so che questo è un blog di cucina e di ricette, ma spesso nei miei post non parlo né di cucina, né di ricette, né di marche di prodotti, né di spese al mercato. Il cibo è una parte fondamentale della mia vita, perché ci lavoro, perché è una passione e perché, ovviamente mangio dalle 3 alle 5 volte al giorno (a volte anche di più, purtroppo). Ma il cibo non è un fenomeno che si manifesta completamente avulso da tutto il resto: il cibo "accade" mentre scorre la vita, mentre intorno succedono cose e mentre dentro di me si affollano pensieri ed emozioni. Questi sono "i giorni delle donne". Cucino e ascolto al telegiornale le vicende hollywoodiane del caso Weinstein. Leggo una ricetta e seguo sui social le campagne che invitano le donne a denunciare le molestie subite. Vado a comprare le verdure bio e la commessa mi dice che sono arrivate le zucchine gialle tonde, quelle di Benevento. Sorrido tra me e me, perché nella frazione di un attimo penso a queste zucchine che sembrano zucche, a Benevento, alle streghe, al femminismo, alle donne, alla disparità di genere, alle notizie di questi giorni. Il cerchio è chiuso e io mi convinco ancora una volta che il cibo accompagna la mia vita e i miei pensieri in modi che nemmeno io riesco a immaginare, o forse che solo io immagino, chissà. Provando a trovare un filo logico tra tutti questi elementi, scopro che è veramente molto importante capire chi e cosa fossero le streghe per comprendere fino in fondo le donne che siamo diventate e il nostro ruolo nella società. Le streghe erano tutte quelle donne che si allontanavano da un modello femminile canonico stabilito dalla Chiesa e dallo Stato, sfidandone, di fatto l'autorità e il potere: la moglie disobbediente, l'adultera, la guaritrice, l'eretica, l'ostetrica, la prostituta, la libertina, eccetera. "La caccia alle streghe è stata una guerra contro le donne: un intento coordinato di denigrarle, demonizzarle e distruggere il loro potere sociale" (Silvia Federici) La morte delle donne sul rogo doveva servire da monito alle sopravvissute che, per evitare di fare la stessa fine assumevano un ruolo passivo, sottomesso, docile e obbediente. Ma le donne, nonostante tutto, non hanno mai smesso, in tutti questi secoli, di essere consapevoli del proprio valore, della propria sessualità, dell'importanza della complicità con le altre donne. Quella complicità che avrebbe potuto mettere in crisi il progetto della Santa Inquisizione, perché più un individuo si sente isolato e vulnerabile e meno forza avrà nell'affermare sé stesso. La complicità tra noi donne ci è stata preclusa anche attraverso il linguaggio: laddove c'è comunanza di idee e di intenti, c'è fratellanza, anche se si parla di donne. La parola "sorellanza" ha il suono di un vocabolo che non esiste. Sarà per la loro forma e il loro colore, che mi ricordano molto le zucche dell'halloween appena passato, sarà per quel giallo intenso che mi ricorda il famoso liquore Strega che si produce, pensate un po', proprio a Benevento, sarà perché vengono dalla città delle streghe per eccellenza, che queste zucchine per me saranno sempre le zucchine "streghe di Benevento". E sul come mai Benevento sia stata scelta come la sede ufficiale delle streghe italiane ne potremmo parlare in un altro momento, anche perché forse questa affascinante storia la conoscete già. Intanto, vorrei proporre, visto il momento storico che stiamo vivendo, di far diventare queste zucchine un simbolo: il simbolo delle streghe del 2017. Perché oggi più che mai, in quanto donna, io mi sento una strega alla ricerca di una giustizia storica che mai ci è stata riconosciuta; una donna che può andare ovunque, che cerca la "sorellanza" con le altre donne, che non si doma, che non si arrende: una femminista (Sangre Fuchsia). E se tutto questo c'entra con le zucchine, decidetelo voi. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Preparate il cous cous come indicato dalle istruzione sulla confezione che avete deciso di utilizzare. Mettetelo a raffreddare. Lavate le zucchine e tagliatene la parte superiore come a creare un coperchio. Con uno scavino, svuotate le zucchine di tutta la loro polpa. Tritate finemente la polpa delle zucchine. Tritate lo spicchio d'aglio e il rosmarino. Fate rosolare in padella, con un filo d'olio, la polpa delle zucchine tritate con un poco di aglio e il rosmarino. A fine cottura, salate. Lavate e tagliate i pomodorini e fateli saltare in padella con un filo d'olio, il restate aglio e le foglioline di rosmarino. A fine cottura, salate. Unite il cous cous, la polpa delle zucchine e i pomodorini aggiustando di sale e pepe. Se lo riterrete opportuno, aggiungete anche altro rosmarino e origano tritato. Riempite le zucchine con il cous cous e ungetele di olio esternamente. Infornate in forno caldo a 200° per circa 45 minuti, stando attenti a non bruciare la superficie. Fate riposare un pochino e servite quando sono ancora calde. Personalmente, preferisco prepararle prima e mangiarle riscaldate in forno. Mi piacciono così tanto i cavolfiori. E, credetemi, mai avrei pensato di poterlo dire. Il cavolfiore, in casa mia, quando ero bambina, si cucinava in tre modi: disfatto in un brodo acquoso in cui mia nonna cuoceva degli spaghetti spezzati (era uno dei suoi piatti preferiti!); bollito oltre ogni ragionevole limite; sempre eccessivamente bollito, come ingrediente dell’insalata di rinforzo. Insomma, il cavolfiore della mia infanzia, era un vegetale maltrattato che, per questo motivo, esprimeva il peggio di sé. Io però ero piccola, cosa potevo saperne? Così ho finito per odiarlo, inserendolo per sempre nella lista nera dei cibi nauseabondi. Ho trascorso tutta la mia vita senza di lui e, quando da grande mi è stato riproposto in tutto il suo potenziale, nonostante mi incuriosisse, l’ho sempre respinto. Per coerenza? Si, forse si. Dopotutto per più di vent’anni avevo detto che non mi piaceva; tutti sapevano che non mi piaceva. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono trovata a perseguire un’idea solo perché l’avevo pensata, decisa e proclamata tempo prima, senza tenere minimamente conto di quanto, nel frattempo, fossi cambiata, e con me la direzione dei miei desideri. In realtà, temevo che rinunciare a un sogno (anche se non era più il mio sogno), ad un’opinione (in cui forse non credevo neanche più), a quelli che erano i piani prestabiliti (soprattutto se già condivisi con altre persone), potesse sminuirmi agli occhi degli altri, farmi perdere la mia identità. O meglio, l’identità del mio personaggio. Eh si, perché nell’immaginario collettivo, le persone coerenti (leggi pure rigide), sono persone determinate, forti, vincenti. Niente di più sbagliato, perché le persone rigide sono solo rigide. La coerenza, per definizione, è “ la connessione e l’interdipendenza tra le parti”: niente di più elastico, quindi. Essere coerenti, a quanto pare, vuol dire vivere completamente immersi nella realtà che ci circonda e essere disposti ad adattarci, proprio come fossimo delle barche in mare, ai suoi movimenti ondulatori, alle sue increspature, ai cambi di direzione imposti dai venti, cercando di non affondare. Cosa che, peraltro, accade sicuramente a chi s'irrigidisce. Quando mi sono trovata ad ostentare la coerenza (intesa come rigidità) quale fosse una virtù, non ho fatto altro che compromettere le relazioni con le persone a cui tenevo, perdere l’occasione di sfruttare la spinta travolgente di un cambiamento, ammettere che, sì, dopotutto, avevo perso, ma almeno ero stata la più testarda. Che amara consolazione. Che sia necessaria la resa, talvolta, per fortificarsi e rendere migliore la nostra vita? Questi cavolfiori mi dicono di sì. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Cuocete le cimette di cavolfiore al vapore per 5 minuti. Lasciatele raffreddare. Preparate una pastella con 4 cucchiai di farina di ceci, l'acqua, il sale e il pepe. Mescolate il pangrattato e i semi di sesamo. Disponete una ciotola con i restanti 3 cucchiai di farina di ceci. Impanate le cime di cavolfiore prima nella farina di ceci, poi nella pastella e infine nel pangrattato. Cuocete in forno caldo a 200° per 10 - 15 minuti, dopo averli irrorati con un filo d'olio. Abbiate cura di girarli a metà cottura. Se siete in vena di fare un piccolo sgarro, potete anche friggerli. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Pulite, lavate e cuocete al vapore i fagiolini. Vanno bene anche lessati. Lessate le patate, sbucciatele e tagliatele a tocchetti. Reidratate un poco i pomodori secchi e tagliateli a striscioline. Denocciolate le olive, se preferite. Mescolate i fagiolini con le patate, i pomodori secchi, la cipolla rossa tagliata a crudo e le olive. Condite con un pochino di sale, se necessario (i pomodori secchi di solito sono già salati), del succo di limone, un filo di olio e uno spicchio d'aglio schiacciato. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Lavate i fiori di zucca e metteteli ad asciugare su un canovaccio. Lessate la patata e schiacciatela con la forchetta. Cuocete al forno le zucchine tagliate a cubetti piccoli fino a che non si saranno un poco asciugate. Tostate i semi di girasole. Mettete in una ciotola la patata, le zucchine, i pomodori secchi tagliati a pezzi, lo spicchio di aglio e i semi di girasole. Fruttate grossolanamente il tutto con un frullatore ad immersione. Riempite i fiori di zucca con questo composto. Se preferite, aiutatevi con un sac a poche. Preparate una pastella di farina di ceci e acqua, con l'aggiunta di sale e pepe (potete usare queste dosi). Mischiate insieme il fioretto di mais con il pangrattato. Passate i fiori di zucca nella farina di ceci, successivamente immergeteli nella pastella e poi passateli nel pangrattato. Disponete tutti i fiori di zucca impanati su di una teglia da forno e irrorateli con un filo di olio extravergine. Cuocete a 180° fino a che non saranno ben dorati e croccanti. |
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